Cambiamento, immaginazione e pace
Al centro di ecologia applicata Autosufficienza, si sperimenta un’alternativa concreta: dall’economia alla gestione del suolo, dalle relazioni tra le persone al modo di costruire le strutture, dalla responsabilità sulla salute collettiva alla nascita
Tommaso Carmenati | Responsabile eventi e comunicazione Autosufficienza
Durante tutto l’arco della mia vita mi sono interrogato su quali fossero le modalità più virtuose con cui portare come singolo un contributo nella collettività.
Ho ricercato un attivismo sociale e politico (non nell’accezione che ha preso oggi questo termine, bensì in un’accezione intesa più come interesse rivolto alla polis, al bene comune) per cercare di andare nella direzione del bello, del buono e del vero – come direbbe il buon Platone “Kalòs Kai Agathòs”.
Sono entrato a far parte di diversi movimenti e gruppi che si occupavano di tematiche sociali. Dalle lotte di piazza per i diritti dei più deboli alle manifestazioni per l’ambiente.
Ho cercato di approfondire quelle figure che nella storia, in qualche modo, hanno segnato svolte epocali: da Gandhi a Martin Luther King, da Thomas Sankara a Ernesto Guevara, a tanti altri ancora.
Contrapposizione o alternativa?
Però ogni volta che mi trovavo ad approfondire figure del genere o che aderivo a gruppi o movimenti interessati al sociale, mi interrogavo sulla reale efficacia di certe iniziative.
Avevo l’impressione che ci fosse sempre più una volontà di reagire e di contrapporsi a qualcosa piuttosto che di creare un’alternativa.
Si partiva sempre dall’idea che ci fosse qualcosa di sbagliato all’esterno, mentre si dedicava poca attenzione al riverbero che avevano i conflitti interiori del singolo nella società.
Perché quello che accade fuori è sempre uno specchio di ciò che accade dentro…
E allora ho iniziato ad attivarmi in due direzioni.
In primo luogo, ho cercato di creare sempre più equilibrio dentro di me: migliorare la capacità di stare in contatto con le mie emozioni, liberarmi da condizionamenti e sovrastrutture che mi allontanavano dal mio nucleo di autenticità più vera. E di conseguenza sono cambiati sempre di più i miei comportamenti e, dunque, l’impatto che essi avevano nella collettività.
Credo sempre di più che, come singoli, abbiamo una responsabilità e un potere decisivo rispetto a ciò che accade nella società. Inoltre, ho deciso di prendere parte e dedicare le mie energie a progetti e movimenti che si occupavano di proporre alternative, invece che di combattere contro qualcosa.
Un tema cruciale: l’immaginario
Quando ho iniziato a frequentare la Fattoria dell’Autosufficienza ho conosciuto la figura di Rob Hopkins, il fondatore del movimento delle Transition Town.
Un personaggio geniale. Quei personaggi che non dicono mai qualcosa di banale, per cui conviene sempre soffermarsi anche su quelle che apparentemente possono sembrare semplici affermazioni.
Un giorno ho letto che secondo lui il problema che sta alla base della società moderna è la mancanza di immaginazione.
Ma come – mi sono chiesto – con tutto quello che succede nel mondo, è possibile che il problema di fondo sia legato alla sola immaginazione?
Poi ci ho riflettuto a fondo, e ho iniziato a osservare come questa affermazione trovasse riscontro immediato in ogni contesto: dalla persona, ai gruppi più circoscritti, alla società tutta.
Se conosci solo un numero limitato di alternative e credi che quelle siano le uniche possibili, continuerai a fare ciò che hai sempre fatto.
Se invece ti esponi a qualcosa di diverso e vedi che quel diverso è in realtà una via realmente percorribile, allora inizierai ad ampliare il tuo immaginario, a prendere in considerazione più opzioni rispetto a prima.
E in questo semplice movimento di coscienza, in realtà, si cela uno degli atti più sovversivi e rivoluzionari che esistono.
Si tratta di ampliare i propri gradi di libertà, di fornire un orizzonte più ampio al proprio sguardo, e quindi alle proprie azioni. E questo contribuirà a una maggiore libertà collettiva.
Ecco perché la Fattoria dell’Autosufficienza è il progetto a cui ho deciso di dedicare gran parte delle mie energie, perché credo che oltre ad avere uno sguardo di un certo tipo nei confronti della società attuale, si impegna ogni giorno a promuovere un’alternativa concreta, andando a lavorare proprio sull’immaginario.
Inoltre la mission è “essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”. Cioè cercare di essere in prima persona esempio di quel cambiamento che si vuole vedere nel mondo.
Proprio ciò di cui parlavo poco fa: l’equilibrio del singolo ha un impatto diretto nell’equilibrio della società.
Gettare semi
Ecco, quindi, quello che stiamo facendo in sintesi alla Fattoria dell’Autosufficienza: porci domande, sperimentare, procedere per tentativi, e impegnarci ogni giorno nel costruire un’alternativa, che naturalmente non si limita alla sola Fattoria.
Vogliamo coltivare un nuovo sguardo su ogni aspetto della vita quotidiana: dall’economia alla gestione del suolo, dalle relazioni tra le persone al modo di costruire le strutture, dalla responsabilità sulla salute collettiva alla nascita.

Alla Fattoria ho trovato il luogo che in questo momento della mia vita mi permette di contribuire alla costruzione di un nuovo mondo, senza però cadere in logiche reattive o esclusivamente di lotta.
Uno stile di vita alternativo a quello più diffuso nella società dominante che sta diventando via via sempre più bello, efficiente, umano, vero, per cui chi passa da noi per un corso o una vacanza non potrà più fare a meno di ricercare nella propria vita quella qualità di cui ha fatto esperienza alla Fattoria, e dunque si creerà passo dopo basso una contaminazione, e dunque un cambiamento, su larga scala.
Sono semini che possono richiedere tempo per germogliare, ma una volta gettati prendono spazio nel suolo e non se ne vanno più via. Ecco perché credo fermamente che un mondo senza guerre non può che partire da noi.
Questo articolo è apparso sulla rivista Vivi Consapevole 82 (settembre/novembre 2025).
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