Chi era Emilia Hazelip
Abbiamo già parlato dell’agricoltura sinergica in un precedente articolo, ma oggi vorremmo approfondire la vita e le aspirazioni della sua ideatrice, la spagnola Emilia Hazelip (Barcellona, 1937 – Carcassonne, 2003)
Quando nacque nel 1937, le bombe cadevano sulla sua città natale, Barcellona, e quando Emilia compì 18 anni decise di lasciare la Spagna intraprendendo un percorso di vivace messa in discussione degli schemi prestabiliti. Già agli inizi degli anni ’60 Emilia sperimentò la vita in comunità agli albori del movimento hippie, rendendosi presto conto di come le pratiche dell’aratura e della coltivazione su terreni lasciati scoperti fosse assolutamente contro natura. Allo stesso tempo Emilia voleva trovare forme diverse per vivere a contatto con la terra, nel rispetto delle leggi della natura e reintegrando l’essere umano nel ciclo della vita.
Imparò molte cose lavorando presso aziende agricole ecologiche della California e del sud-ovest degli Stati Uniti, conobbe autori che insegnavano a coltivare senza lavorare la terra (ad esempio Ruth Stout) e il sistema di coltivazione su bancali (Alan Chadwick). Le sue intuizioni trovarono un riscontro quando, a oltre 40 anni, conobbe l’opera di Fukuoka, che applicò integrandovi anche elementi di Permacultura.
Creatrice instancabile e attenta osservatrice della natura, dedicò tutto il suo impegno a cercare di sanare i danni che il sistema agricolo tradizionale ha causato alla terra. Lo ha fatto creando metodi, fondamenti, pratiche e teorie e insegnando laddove veniva chiamata. Se ne andò senza alcun preavviso, aveva talmente tanta energia che non sembrava dovesse mai estinguersi. Solo un anno prima era coinvolta in vari progetti e con talmente tante cose da fare che a volte diceva: “meno male che mi sono programmata per vivere 120 anni”.
Come attivista nei movimenti ecologisti le era capitato di respirare gas lacrimogeni lanciati durante le manifestazioni, riportandone dei problemi di asma. Complicazioni respiratorie repentine la costrinsero in ospedale dove, qualche giorno più tardi se ne andò nel sonno.
Emilia Hazelip nacque lo stesso anno in cui Fukuoka iniziò a delineare la sua Agricoltura Naturale, un sistema che permette di coltivare senza lavorare la terra e che è considerato essere la prima grande riforma agricola da quando esiste l’agricoltura. Dopo 17 anni di ricerche personali e professionali, nel 1978 Emilia scopre il lavoro di questo microbiologo e agricoltore giapponese che confermò le sue intuizioni sulla capacità del suolo di auto-fertilizzarsi quando si rispetta la sua dinamica naturale.
Emilia lo spiega così nel suo video sull’agricoltura sinergica pubblicato da lei stessa nell’aprile del 1995 e in cui mostra passo per passo la creazione di un orto-giardino commestibile realizzato su un ettaro di terreno: “Il lavoro di Fukuoka fu la prova che la mia intuizione era valida, ovvero che lavorare la terra non è necessario. Però quando iniziai ad imitarlo, i risultati che ottenevo erano così scarsi che compresi rapidamente la necessità di modificare e di adattare il suo sistema ad altre condizioni culturali e climatiche, così nacque quello che decisi di chiamare Agricoltura Sinergica”.
Tutto è unito e interconnesso
Emilia trovò nel suo modello l’agricoltura del prossimo millennio ed ebbe l’opportunità di sperimentarla con ottimi risultati in paesi con densità di popolazione elevata e scarsità di mezzi. “Personalmente considero la destrutturazione del suolo, mantenendolo fertile artificialmente, ingrassandolo con concimi, compost, ecc., sia un errore che si ripete dagli inizi dell’agricoltura e ora è il momento di rimediare a questo sbaglio responsabile di tantissima erosione del pianeta” insisteva continuamente.
Nei numerosi corsi che impartì per tutta Europa, in particolare Francia, Italia, Svizzera e Spagna, si impegnava nel portare i suoi studenti a comprendere partendo da una visione ampia e globale l’interazione e unità di tutte le cose: “l’originalità della Permacultura è che realizza allo stesso tempo un progetto pratico, impariamo a pensare globalmente, a vedere le connessioni. E quando superiamo la vertigine iniziale dell’usare la nostra mente in direzioni multiple e simultanee, sentiamo una pace profonda, permettendo al cervello di funzionare con in suoi emisferi complementari, in armonia creativa, manifestandosi qui ed ora, senza parassitismo…
Per sentirci bene con noi stessi dobbiamo sentire che anche il pianeta sta bene, tutto è nel tutto e non siamo un’eccezione. Anche se culturalmente abbiamo perso lo stato di grazia, come esseri umani lo possiamo reintegrare e lì inizia l’ecologia”. Nei suoi corsi il lavoro è sempre stato intensivo, in 10 giorni gli orti, le compost-toilet i pollai, le serre e tutto quello che mancava per lasciare il progetto pronto veniva costruito. Non la spaventavano le dimensioni del terreno e le era facile aggirare i problemi specifici del posto per trarne invece una fonte di risorse per il progetto stesso.
Negli ultimi anni Emilia chiedeva continuità nei progetti a cui collaborava nella progettazione: almeno 3 anni di applicazione dei principi dell’Agricoltura Sinergica per dare tempo al terreno di autoregolarsi. Erano molti gli orti avviati e pochi quelli che, dopo un entusiasmo iniziale, continuavano a rispettare i principi base. “Gli schemi convenzionali e i miti sulle necessità di un orto sono così profondamente radicati in noi che occorre intraprendere un cambiamento totale nella relazione con la terra”.
Emilia decise di essere parte della soluzione
Nelle sue riflessioni profonde Emilia era dispiaciuta della realtà depredatoria che l’uomo ha creato nel suo affanno allo sfruttamento, “Un’economia basata sulla crescita continua non può mantenersi all’infinito, non è duratura. Tuttavia ammetterlo significa accettare che il nostro sistema è falso…, e, ovviamente, è più facile sbarazzarsi delle minoranze, cominciare guerre, reprimere e sopprimere intere popolazioni…che ammettere il nostro errore”.
La sua visione del futuro la portò ad un apparente vicolo cieco, “La cultura occidentale ragiona in termini di risorse naturali quando considera la ricchezza del pianeta. L’acqua e l’aria, elementi che si credeva fossero inesauribili, cominciano ad essere risorse fragili alla cui scarsità è realmente difficile porre rimedio. Per questo quando si analizzano profondamente le conseguenze dello sfruttamento del pianeta la tristezza ci rapisce…è come un duello con la vita, con noi stessi e con gli esseri che ci sono più cari. Cosa si può fare? Come essere di nuovo parte integrante della vita del pianeta? Come venire fuori da un’economia immorale e parassita? Come impedire questo genocidio planetario, questo suicidio collettivo?”
Tuttavia Emilia trovò la chiave in se stessa, decise di essere parte della soluzione, fare della sua vita un esempio di ritorno alle leggi della natura, lavorare a favore della vita creando alternative reali a un modello di convivenza con se stessi, con gli altri e con il pianeta che è insostenibile, parassitario come direbbe lei. Il suo entusiasmo e la sicurezza con la quale è possibile vivere quello per cui si aspira erano contagiosi. Madre di due figlie e felice nonna di tre nipoti (l’ultima nacque dopo la sua dipartita), Emilia diceva spesso che loro erano la sua priorità.
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