Sette generazioni
Una nuova prospettiva per il futuro dell’umanità
Tommaso Carmenati | Custode presso il centro di ecologia applicata Autosufficienza
Sono ormai quattro anni che collaboro in varie forme con il centro di ecologia applicata Autosufficienza.
Ciò che ho imparato in questo periodo non è facile da esprimere.
Incontri, esperienze dirette, riflessioni, errori. Momenti densi di vita vera, quella che non dimentichi facilmente, e probabilmente segnerà il resto della tua esistenza.
Ci sono poi alcuni concetti che hanno mutato completamente la mia forma mentis. Locuzioni e modi di dire che, con una semplicità talvolta disarmante, hanno il potere di modificare completamente il tuo modo di vedere la realtà.
Ho sentito dire tempo fa che in alcuni popoli di tradizione del centro America non esiste il termine “ambiente”. Può sembrare una banalità, ma dal momento che viene sancita l’esistenza di una parola, viene creato anche il concetto che ne deriva.
Decretare l’esistenza della parola “ambiente” vuol dire affermare che esiste qualcosa al di fuori di me, un’entità separata, e quindi io non sono parte di quel “tutto”. Dunque ciò che sta al di fuori di me lo posso sfruttare a mio piacimento, fino ad arrivare a quelle che oggi sono le tematiche più rilevanti dell’antropocene: surriscaldamento globale, disastri ambientali e crisi degli ecosistemi in generale.
Ho fatto un esempio per mettere in evidenza la potenza delle parole. A questo proposito, c’è una locuzione che ho sentito per la prima volta qui e che ha segnato profondamente la mia visione.
Si tratta di una frase che appare nella carta dei “Custodi della Terra”, gruppo di amici che opera per il bene comune nella valle del Savio, e che recita così: «Custodiamo la Terra e seminiamo per creare abbondanza ed equilibrio per sette generazioni».
Agire nell’ottica delle sette generazioni: che cosa vuol dire?
Sembra che il tema delle sette generazioni affondi le proprie radici in alcune tribù dei nativi americani. Il numero sette è indicativo ed è dovuto più a questioni di simbologia e numerologia.
Tralasciando la questione del numero, il concetto di fondo è questo: ogni volta che si compie una scelta o un’azione, bisognerebbe chiedersi in che modo quella scelta, oltre che portarmi un beneficio immediato, può avere un impatto positivo sulle future generazioni.
Certo, a prima vista può sembrare una delle tante teorie difficili da mettere in pratica. Ma se si ragio- nasse, ad esempio, con una prospettiva omeopatica – di cambiamenti quasi impercettibili ma costanti – questo concetto potrebbe rivoluzionare completamente la nostra vita e di conseguenza mutare le sorti della collettività.
Si può applicare ad ogni contesto della nostra quotidianità: comunicazione, gestione delle emozioni, parole, pensieri, ma anche acquisto di cibo, vestiti, arredamento e così via. Si tratta di una forma mentis non circoscritta ad alcun ambito specifico.
L’antropologo Gregory Bateson, che ha coniato il concetto di “ecologia della mente”, è stato tra i primi a indagare la relazione che sussiste tra il nostro “mondo interno” e quello “esterno”. In che modo l’uno influenza l’altro. Ed è proprio questa la prospettiva che dovremmo adottare: una prospettiva che guarda alla relazione tra i fenomeni di un sistema e non si limita ad analizzare il singolo.
Solo adottando questa prospettiva, scriveva Bateson, si può comprendere l’interdipendenza che caratterizza i sistemi viventi, riuscendo ad accostare fenomeni come «la simmetria bilaterale di un animale, la disposizione strutturata delle foglie in una pianta, l’amplificazione successiva della corsa agli armamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero dell’evoluzione biologica, e la crisi in cui oggi si trovano i rapporti tra l’uomo e l’ambiente».
Un esempio fra tutti: grani antichi per sette generazioni
Al Centro di Ecologia Applicata Autosufficienza, oltre l’orto bio-intensivo e la food forest, ci sono dei seminativi estensivi in cui ogni anno, a rotazione, vengono coltivati cereali e legumi. Lo scorso anno abbiamo seminato grani di varietà antica che sono stati raccolti quest’anno. Dalla loro macinatura abbiamo ricavato la farina che utilizziamo abitualmente per pane, pizza, pasta fresca e pasticceria.

La farina che possiamo reperire solitamente nella grande distribuzione, viene ricavata da un grano che è stato irradiato con i raggi gamma al Cobalto 60 in laboratorio a partire dagli anni ’60-’70. Dopo le grandi carestie della Seconda guerra mondiale, c’è stato un tentativo di creare sistemi di produzione del cibo sempre più efficienti, come le moderne tecniche di agricoltura convenzionale. Purtroppo senza tener conto dell’impatto di certe scelte sugli ecosistemi.
Il grano antico è caratterizzato da una spiga che può arrivare a un’altezza di due metri e di conseguenza non ha bisogno di essere difesa dalle erbe infestanti. La spiga del grano da cui si ricava la farina della grande distribuzione, che per facilità chiameremo “convenzionale”, è invece molto più bassa e di conseguenza ha bisogno del supporto di prodotti di sintesi come gli erbicidi.
Molti sostengono che il grano convenzionale abbia una resa nettamente superiore rispetto al grano antico: solitamente da un ettaro di terra si riescono a ricavare 70-80 quintali di grano convenzionale a fronte dei 18-35 che possiamo ricavare dalla coltivazione del grano antico.
La farina di grano antico costa di più, ma ha un indice glutinico più basso rispetto al grano “classico”, motivo per cui è di difficile lavorazione per la maggior parte dei professionisti dell’arte bianca. Di fronte a queste ragioni la scelta verso il grano “convenzionale” appare scontata. Questo è un esempio perfetto di che cosa vuol dire ragionare a compartimenti stagni, in modo analitico, piuttosto che abbracciare una visione sistemica, a sette generazioni.
È vero che nel breve termine dal grano “convenzionale” si ricava più farina, ma nel lungo termine quel terreno, in cui vengono gettati erbicidi e altre sostanze nocive, andrà verso la desertificazione, mentre il terreno in cui viene coltivato grano antico, rimarrà incontaminato.
Per cui se ragioniamo anche solo in termini di decine di anni, ci accorgiamo che è molto più produttivo un ettaro di grano antico rispetto a uno di grano convenzionale. Siamo portati a credere che il grano antico costi di più, ma non consideriamo che un alto indice glutinico (come quello del grano “convenzionale”) è stato correlato a un aumento del rischio di intolleranza al glutine: se divento celiaco, sarò costretto a comprare prodotti senza glutine, che costano molto di più.
Coltivare, o comunque consumare, grano antico è un ottimo esempio di come possiamo ragionare nell’ottica delle sette generazioni: non mi interesso solo del beneficio immediato, ma getto uno sguardo a lungo termine, chiedendomi in che modo quell’azione sarà di beneficio per me e per le future sette generazioni.
Un altro esempio concreto di questo concetto che possiamo trovare ad Autosufficienza è la food forest. Un sistema agroforestale che produce inizialmente poco, ma sarà sempre più ricco di vita e di frutti nel lungo termine, con un dispendio energetico estremamente limitato.
Un’eredità da lasciare
I nostri figli, i figli dei nostri figli – ma si spera anche noi – potranno godere di un luogo pieno di biodiversità, di fiori e di frutti per tutti gli anni a venire.
Questo è l’aspetto che più mi ha affascinato di questo progetto. Partito dalle rovine di un’azienda agricola abbandonata, oggi è un luogo di ispirazione per chi cerca una vita sana e vuole vivere in armonia con l’ambiente.
E questo è l’esempio di ciò che ognuno di noi potrebbe fare nel proprio piccolo: dedicarsi a un territorio, piccolo o grande che sia, in città o in campagna fa lo stesso, in cui cercare di ricreare i presupposti per una vita in equilibrio e armonia con tutti i sistemi viventi.
Un’eredità da lasciare alle future generazioni. Che siano sette o di più poco importa. Un luogo come questo in cui oggi nascono figli, dopo decenni in cui non nascevano più, un luogo in cui viene condiviso uno stile di vita sano, viene coltivato del buon cibo, ci sono edifici splendidi costruiti nel pieno rispetto della natura.
È questo il messaggio più grande di questo luogo: si può, si deve fare.
Per noi e per le future sette generazioni.
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Questo articolo è apparso sulla rivista Vivi Consapevole 75 (dicembre 2023/febbraio 2024).
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