Impariamo a sganciarci dai poteri forti e a percorrere la strada della resilienza, un gradino alla volta.

L’ignoranza unita alla disinformazione guidata ha portato la popolazione occidentale a pensare che sia possibile guarire dalle malattie con una pillola o un’operazione chirurgica. Il marketing dell’industria chimico-farmaceutica è talmente pressante e persuasivo da aver convinto la classe medica del fatto che sia possibile guarire le persone prescrivendo unicamente dei trattamenti farmacologici.

L’esempio più calzante di dipendenza: i farmaci

Chiunque abbia una visione aperta e non indottrinata può comprendere la fallacia di questo approccio: i farmaci hanno spesso il solo scopo di eliminare o alleviare il sintomo localizzato. Ad esempio: ho male a un ginocchio e prendo un antidolorifico. Ho la febbre e prendo un antinfiammatorio. È chiaro che non sentirò più dolore o non avrò più infiammazione, ma certamente non avrò risolto la causa che mi ha portato al dolore o all’infiammazione.
Il presupposto corretto da cui partire, invece, è che quando percepiamo la malattia in realtà stiamo già guarendo. La malattia infatti è la risposta a un disequilibrio che in alcuni casi potrebbe avere origine in un altro organo o apparato rispetto al sintomo e può essere risolta solo riportando l’organismo in equilibrio. Eliminare il sintomo e non fare nient’altro è semplicemente stupido.
La medicina allopatica è certamente molto efficace nel risolvere con successo traumi fisici e malattie acute, ma sta dimostrando ogni giorno di più il suo totale fallimento nei confronti delle malattie croniche e soprattutto nel mantenere le persone sane. Esiste una profonda differenza fra una persona sana e una persona in vita. Ci viene spesso ripetuto l’aspettativa di vita è aumentata. Ma cosa possiamo dire dell’aspettativa di vita sana?
Per l’industria farmaceutica la vita sana è svantaggiosa. Una persona sana non porta profitti. Una persona morta non porta profitti. Una persona cronicamente malata è un flusso costante di denaro e genera profitto per l’industria.
Per questo la ricerca scientifica difficilmente si orienta verso approcci che non necessitano di medici e farmaci. Quale casa farmaceutica finanzierebbe uno studio per guarire senza farmaci?

 

Oggi in Fattoria consumiamo l’acqua delle nostre sorgenti, mangiamo il cibo proveniente dai nostri orti, le uova delle nostre galline e il miele delle api.

Pizza autoprodotta con farine di grani antichi a Km0 e pasta madre

 

Il marketing della dipendenza

Tutti vogliono creare dipendenza, il medico cerca pazienti fedeli e che tornino. Le case farmaceutiche cercano clienti fedeli che riacquistino lo stesso farmaco, idealmente per tutta la vita. Tale farmaco avrà degli effetti collaterali previsti dalla casa farmaceutica, la quale avrà pensato anche al farmaco per gestire l’effetto collaterale e così via. Pensiamo ad esempio al farmaco che crea problemi allo stomaco per cui poi bisogna prendere quello per proteggerlo, ma che ha altri effetti collaterali.
Questo accade in tutti i campi, non solo in quello della medicina e della salute. Classico è l’esempio del computer che poco dopo l’acquisto viene colpito da un virus, per il quale ci viene proposto di acquistare l’antivirus. Le lampadine, gli elettrodomestici, le automobili si rompono in maniera programmata e spesso non c’è più possibilità di ripararli: ci viene detto che “conviene” acquistarli nuovi. Ma conviene a chi? I vari Netflix, Prime, Sky, le app che scarichiamo: tutto deve essere costantemente rinnovato e non riusciamo più a pensare di fare a meno di questi servizi.
Tutto il sistema economico in cui viviamo è pensato per creare dipendenza e più un’azienda vi rende dipendenti più alti saranno i suoi profitti.

Tre giorni per vivere o morire

Nell’ultimo secolo il paradigma della dipendenza è andato sempre crescendo e oggi in Occidente la nostra vita dipende da un piccolo gruppo di aziende multinazionali il cui interesse non è il nostro bene, bensì l’aumento dei profitti. Dipendiamo da una multinazionale per l’acqua che beviamo, per il cibo che mangiamo, per la nostra salute, per l’energia che consumiamo, per il combustibile con cui ci scaldiamo, per il mezzo con cui ci spostiamo, per il social con cui conversiamo, per le ricerche che facciamo, per il nostro intrattenimento. Cosa succederebbe se per qualche motivo le multinazionali da un giorno all’altro cessassero di esistere?
I primi a morire sarebbero coloro che dipendono da farmaci. Chi ha dipendenze come caffè, sigarette, psicofarmaci, droghe andrebbe subito in forte crisi. Chi non ha scorte di cibo o non se lo autoproduce dopo tre giorni troverebbe i super mercati vuoti. Chi riceve L’acqua grazie alle pompe sarebbe a secco. Le automobili non si muoverebbero più, i riscaldamenti sarebbero spenti.
A ben vedere nella storia dell’umanità non siamo mai stati così deboli e dipendenti come oggi.

La via della resilienza

Queste sono solo alcune delle ragioni che nel 2009 mi hanno spinto a fondare “La Fattoria dell’Autosufficienza”. Tutti dovremmo porci l’obiettivo di essere più resilienti e prepararci a vivere in un mondo nuovo, non più caratterizzato dalla dipendenza. Certamente è impensabile diventare autosufficienti al cento per cento, ma riuscire ad autoprodurre una buona parte del cibo, dell’energia, dei prodotti per la casa e imparare ad autogestire la propria salute può essere un ottimo punto di partenza. Il movimento della transizione ci insegna che non è necessario fare un passo nel vuoto, ma è sufficiente iniziare a percorre una nuova strada. Fare periodicamente uno scalino ulteriore verso l’autosufficienza e l’economia locale ci rende più forti, più resilienti, più felici.

Coibentazione delle strutture con balle di paglia

 

Coltivare canapa può essere di grande aiuto per l’autosufficienza, la canapa ha un’infinità di usi molto più interessanti di quello stupefacente

Produciamo cereali, legumi, frutta, erbe aromatiche e medicinali. Scaldiamo l’acqua con pannelli solari e caldaie a legna. Gli edifici a risparmio energetico necessitano di poca energia per rimanere caldi e all’occorrenza la nostra legna ci viene in aiuto. Abbiamo un forno a legna costruito con la terra del nostro orto in cui cuociamo pane e pizza con la farina di grani antichi e la pasta madre autoprodotta.
Il piano di sviluppo che abbiamo messo a punto ci porterà nei prossimi 6 anni anche all’autosufficienza energetica e abbiamo l’obiettivo di attirare intorno a noi persone con valori simili, per creare insieme a loro una comunità su base intenzionale. La strada da percorrere per essere completamente autosufficienti è ancora lunga, ma già aver intrapreso il percorso mi rende felice.

Canapa e autosufficienza

Coltivare canapa può essere di grande aiuto per l’autosufficienza. A differenza di quello che ci hanno voluto raccontare le multinazionali e i poteri forti, la canapa ha un’infinità di usi molto più interessanti di quello stupefacente per la quale è unicamente conosciuta dalla massa e per questo stigmatizzata.
Il potenziale terapeutico dei suoi fitocomplessi è assolutamente sottostimato: solo a titolo di esempio è eccezionale per risolvere problemi di ansia e stress e può essere utilizzata nella terapia del dolore al posto degli oppiacei che creano dipendenza e una serie infinita di effetti collaterali. Con la canapa è anche possibile costruire automobili, muri, cappotti e intonaci per le case, produrre carta, prodotti tessili, combustibili, olio e farina alimentare, cosmetici. Inoltre è una pianta che in ambiente adatto cresce benissimo senza fertilizzanti e pesticidi, anzi è ottima per ripulire i terreni dalle infestanti in quanto cresce più alta e più veloce di qualsiasi erba spontanea. Se gestissi una multinazionale chimico-farmaceutica e puntassi al mero profitto, farei di tutto per impedire la coltivazione di questa pianta.

 

Scritto da Francesco Rosso.
Questo articolo è apparso sulla rivista Vivi Consapevole 59, settembre/novembre 2019.