Con la permacultura le aziende agricole diventano opere d’arte naturali

Nei primi anni Novanta, quando ancora facevo le scuole elementari, gli adulti decisero che non potevo andare a scuola perché non ero vaccinato. Allora vivevo con la mia
famiglia in una casa isolata in collina e così passavo le intere giornate con i miei cani a correre nei boschi che circondavano la casa. Ero attratto e innamorato della
natura che mi attorniava. Saltavo i ruscelli gorgheggianti, inseguivo gli animali selvatici e coccolavo i miei cagnoni così grati per le corse che facevamo insieme.
Dopo circa due anni, quando rientrai a scuola, le mie uscite diminuirono, ma rimase intatta la mia attrazione nei confronti della natura: fu così che, quando giunse il tempo di scegliere l’indirizzo di scuola superiore, scelsi l’Istituto per l’Agricoltura e l’Ambiente con l’idea di diventare da grande una guardia forestale, per poter continuare a vivere circondato dai boschi.

 Addio monti

Dopo due anni la mia famiglia si trasferì a Cesena e così decisi di trasferirmi all’Istituto Agrario in quanto non esisteva lo stesso indirizzo in città. Passai i successivi
tre anni di scuola di agraria pensando che non avrei mai lavorato in agricoltura.
Non ricordo, ai tempi, che idea avessi dell’agricoltura, ma non era qualcosa che mi attraeva. Pensavo all’azienda agricola come a dei tristi campi piatti coltivati a monocoltura e all’agricoltore come a una persona che passa gran parte del tempo su di un trattore o all’interno di una stalla maleodorante. Non associavo l’azienda agricola a qualcosa di bello: credo che l’agricoltura, dall’avvento dell’industrializzazione, sia stata vista come qualcosa di negativo, di povero e di sporco. Espressioni come “terra-terra” o “essere a terra” sono un esempio di come la nostra lingua si rivolga all’agricoltura e alla terra come fossero qualcosa di dispregiativo. Penso che ciò abbia avuto influenza anche nella mia infanzia.
Finii le scuole superiori e abbandonai completamente il campo della natura e dell’agricoltura iscrivendomi alla facoltà di Economia del Turismo. Contestualmente iniziai a dirigere Macrolibrarsi, allora commercio per corrispondenza di libri per il benessere del corpo, della mente e dello spirito.

La scoperta della permacultura

Nel 2009 – avevo 24 anni – ebbi l’opportunità di acquistare un terreno in montagna con l’obiettivo di rendere autosufficiente e resiliente la mia famiglia. Il convogliare
di crisi ambientale, crisi economica, crisi energetica e il rischio di crisi alimentare e idrica ci portò ad acquistare un’azienda agricola abbondonata da oltre 10 anni con l’obiettivo di autoprodurci il cibo e l’energia.
Il centro aziendale era per me qualcosa di molto agricolo e di poco naturale. Capannoni fatiscenti e quasi crollati ricoperti da amianto, attrezzi di ferro arrugginito ovunque, una montagna di letame maleodorante, plastiche e altri rifiuti sparsi, tralicci dell’energia e del telefono che attraversavano la proprietà.
D’altra parte i boschi, i prati e le montagne che circondavano il centro dell’azienda erano spettacolari ed era stato amore a prima vista. Ora che ero in possesso di un’azienda agricola dovevo imparare tutto quello che avrei già dovuto sapere perché ero stato a scuola, ma che in realtà non avevo mai appreso.
L’agricoltura come l’avevo studiata a scuola, e come viene normalmente praticata, continuava a non piacermi e scoprii che c’era una strada per progettare un’azienda agricola in modo completamente differente e imitando i modelli naturali: la permacultura.

Così iniziai nuovamente a studiare, a fare corsi e visitare esperienze di permacultura anche all’estero. Ben presto conobbi aziende agricole spettacolari dove la bellezza e la natura avevano il sopravvento sull’uomo. Il lavoro principale del contadino non era più quello di contrastare la natura, ma di assecondarla più possibile per ottenerne un vantaggio. Aziende agricole come il Kramtherof di Sepp Holzer o Natural Farm di Panos Manikis mi hanno profondamente influenzato e ho compreso, grazie a loro, che era possibile creare una fattoria di cui potessi essere innamorato, proprio come mi succedeva con i boschi da piccolo.
Ho iniziato a progettare e realizzare frutteti e orti naturali, food forest (foreste commestibili), terrazzamenti di policolture, arboricoltura, siepi, laghi, pascoli con recinti in legno di castagno, muri a secco, strutture in bioarchitettura e bioedilizia.

Agricoltura e natura: un unico amore

Il risultato è che quest’anno quando sono partito per le vacanze, salutando gli animali, gli alberi e le montagne della Fattoria avevo le lacrime agli occhi.
Oggi amo l’agricoltura come amo la natura.
Quando mi muovo lontano da casa osservo sempre con ammirazione come l’uomo ha modellato il paesaggio nei secoli, adoro sentire i racconti degli anziani su come si faceva agricoltura un tempo e quando viaggio mi informo sempre sulla tradizione agricola del luogo.
Ovviamente rimane il fascino per la natura incontaminata, ma accompagnato dalla consapevolezza che anche l’uomo, con i giusti stimoli e le opportune conoscenze, può creare dei paradisi naturali.
Studi sempre più numerosi, condotti in ogni angolo del mondo, dimostrano il giovamento, in termini di salute fisica e psicologica, nel passare del tempo nella natura e solitamente ci si riferisce a boschi secolari, montagne, laghi e in generale ai luoghi meno antropizzati. La Fattoria dell’Autosufficienza oggi ha l’arduo obiettivo di dimostrare che tali benefici è possibile viverli anche abitando in edifici costruiti con materiali naturali, cibandosi di cibi genuini e autoprodotti e lavorando in strutture e campi ispirati ai modelli naturali.