Ogni nascita di un uomo libero ci ricorda che un mondo diverso da quello voluto dai poteri forti è ancora possibile

Come è andato il 2020? A questa domanda ricevo spesso la risposta “di m**da” ma, non di rado, anche la seguente: “mi vergogno un po’ a dirlo, per me è stata una grande annata”.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che sia stato un anno di grande fermento, che ha stravolto le nostre vite. Per ritrovare nella storia cambiamenti così radicali nello stile di vita dell’umanità dobbiamo tornare indietro di almeno settant’anni, ovvero alla seconda guerra mondiale. Tutti quanti abbiamo perso un enorme quantità di certezze, che poi in realtà, se ci pensiamo bene, non sono mai esistite.
Ad aver colto enormi vantaggi da questa crisi sanitaria globale sono stati sempre loro: le grandi corporazioni della Silicon Valley e le persone più ricche del mondo che hanno ulteriormente incrementato i loro patrimoni. Anche tra le persone comuni qualcuno si è ritrovato, fortunatamente, a cogliere dei vantaggi imprevisti da questa situazione o, semplicemente, in questo anno nefasto
alcuni hanno avuto un regalo dalla vita, come ad esempio la nascita di un figlio, che ha cancellato tutto il negativo.
Molti hanno introdotto nelle loro vite cambiamenti positivi, come ad esempio riavvicinarsi alla natura e a un mondo meno artificioso, autoprodurre il proprio cibo, educare in maniera più appropriata i propri figli, prendersi cura del proprio corpo, riunirsi con amici e conoscenti in una comunità intenzionale. Altri in maniera proattiva si sono reinventati sapendo cogliere le opportunità che ogni crisi apre in termini economici, politici, sociali, intellettuali.
Purtroppo la maggior parte delle persone, come spettatori, è rimasta imprigionata nella trappola del terrore e della paura, in attesa di essere salvata.

La transizione

Casuale o non casuale ciò che stiamo vivendo è una grande transizione o reset, come qualcuno lo ha chiamato. La rivoluzione tecnologica e digitale ha fatto un balzo enorme nel 2020 e aziende quali Google, Amazon, Facebook, Twitter, Microsoft, hanno dimostrato in maniera palese quanto pervasivo e determinante sia il loro ruolo, al di sopra delle democrazie e dei popoli.

Grazie alla pandemia, anche le generazioni che erano meno propense agli acquisti online, alle videochiamate e alle chat, sono diventate grandi fruitrici dei servizi digitali.

Ora quasi tutti sono pronti all’invasione dell’Internet delle cose che ci aspetta con il 5G, dei robot, delle auto che si guidano da sole, della telemedicina, degli algoritmi a determinare le nostre scelte di acquisto, a indirizzare i nostri desideri, a mappare le nostre abitudini, a farci desiderare un futuro disegnato per noi da ricerche di neuromarketing: la virtualizzazione della vita, delle esperienze e dell’essere è già realtà. Popoli controllati da un’oligarchia tecnocratica in un mondo orwelliano non sono più uno scenario apocalittico ma la realtà che abbiamo di fronte agli occhi.

La deriva tecnologica

L’open source e i suoi grandi ideali hanno perso la battaglia a vantaggio di poche corporazioni che operano oltre l’economia di mercato, oltre le regole delle nazioni in un regime di monopolio. La visione del futuro di questi colossi che guidano l’agenda mondiale, e che spesso sono anche i più grandi finanziatori delle case farmaceutiche, è quella di un uomo geneticamente modificato e completamente scollegato dalla natura e dai suoi ritmi e perennemente collegato a una realtà virtuale.
Questo nuovo stile di vita dovrebbe, secondo chi lo ha ideato, finanziano e costruito, permetterci di fare scelte razionali, farci vivere più a lungo, aumentare la nostra capacità di memorizzazione, ridurre i rischi della vita odierna.

La rinascita degli uomini liberi

Masanobu Fukuoka diceva: «La malattia viene quando la gente si allontana dalla natura. La gravità della malattia è direttamente proporzionale al grado di separazione. Se una persona malata ritorna a un ambiente sano spesso la malattia scompare».

In un momento storico in cui siamo stati privati delle libertà più elementari, in cui si va sempre più verso la medicalizzazione di ogni fase della vita, la digitalizzazione e robotizzazione di ogni processo
fino a pensare uteri artificiali, è nato in casa in mezzo alle montagne, in un paesaggio magico ricoperto dalla neve, mio figlio Arios che, in lingua celtica, significa “uomo libero”.

Giulia ha vissuto la gravidanza e il parto come un momento sacro della propria vita, senza affidarsi a medici o ai classici protocolli che considerano la gravidanza come una malattia. Il travaglio è avvenuto in maniera istintiva, senza che nessuno spingesse Giulia a fare qualcosa di diverso da ciò che le comunicava il corpo. Nessuna lacerazione, nessuna perdita di sangue, ma soprattutto nessuno stress, hanno fatto sì che Giulia fosse da subito in forma e con una buona energia. Arios, diviso dalla sua placenta solo dopo due giorni, sta passando le sue prime settimane a poppare e dormire beatamente.
La casa è calda grazie alla caldaia dove brucia la legna dei nostri boschi. Ancora nell’orto si raccolgono le ultime verdure sotto i ghiacci e le galline hanno ripreso la produzione di uova, dopo la consueta pausa di novembre e dicembre.
Presto inizierà il lavoro del semenzaio, la pota del piccolo vigneto e di alcune piante da frutto, sarà poi il momento del semenzaio e con l’esplosione della primavera riprenderà il grande lavoro nell’orto, nei frutteti e nei campi.
Senza algoritmi, piattaforme, prodotti chimici, ma principalmente con il lavoro manuale e con gesti millenari, continueremo a prenderci cura della nostra autosufficienza e della nostra terra.
Oggi, se lo vogliamo davvero, possiamo ancora scegliere se affidare la nostra famiglia, la salute, l’alimentazione, l’energia, la socialità, il divertimento alla tecnocrazia mondiale che si è andata delineando, o se scrivere completamente un’altra storia.

Scritto da Francesco Rosso.
Questo articolo è apparso sulla rivista Vivi Consapevole 64, marzo/maggio 2021.